Sentenza del processo di Torino sull’amianto (8)
Nella sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Torino nel febbraio del 2012 non è stato ritenuto che la prescrizione per i reati relativi agli articoli del c.p. 434 e 437 non fosse estinta. Vorrei ora provare ad analizzarne i motivi.
Per prima cosa a tal proposito vediamo cosa prevede la legge italiana sulla prescrizione.
Riguardo ai termini di prescrizione, l’articolo 157 del Codice Penale prevede quanto segue: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.” Nel caso in questione si può dedurre che il p.g.della Suprema Corte debba aver calcolato la scadenza dei termini di prescrizione in 12 anni perché la pena massima prevista dal comma 2 dell’articolo 434 è appunto di 12 anni di reclusione.
A tal riguardo, nel Codice Penale giapponese ci sono due tipi di prescrizione, “la prescrizione penale” e “la prescrizione giudiziaria”. Per la prescrizione penale l’articolo 31 del Codice Penale prevede che “coloro per cui è stata emessa una pena con la prescrizione ricevano l’esenzione dall’esecuzione della pena stessa”, mentre invece per quanto riguarda la prescrizione giudiziale il Codice di Precedura Penale all’articolo 250 prevede il titolo “periodo della prescrizione giudiziaria”, perciò si può interpretare che l’articolo 157 del Codice Penale italiano sia assimilabile alla “prescrizione giudiziaria” del sistema nipponico. Non si può probabilmente trascurare la differenza che una legge simile si trovi nel Codice di Procedura Penale in Giappone, e nel Codice Penale in Italia.
Inoltre, per quanto concerne il punto di partenza del computo dei termini di prescrizione, l’articolo 158 del c.p. italiano recita: “Il termine della prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno della consumazione; per il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l’attività del colpevole; per il reato permanente o continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione.” Invece l’articolo 253 del Codice di Procedura Penale giapponese, riguardo il punto di partenza del computo dei termini della prescrizione, recita: “la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui è terminata l’azione criminale.”
Così, nella sentenza di primo grado di Torino, per prima cosa, si sono analizzati i reati previsti dall’articolo 437 riguardanti gli obblighi di prevenzione di incidenti e disastri sui luoghi di lavoro. La sentenza non analizza tanto il comma 1 di questo articolo, che recita “Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni”, quanto invece il comma 2 che dice “Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”, e conclude dicendo che la prescrizione non si è estinta, e che agli imputati si debba applicare la pena prevista dal comma 2. Di seguito provo a riportare alcune delle motivazioni che hanno portato a tale conclusione.
Nelle motivazioni della sentenza si può leggere, riassumendo: “questo Tribunale ritiene che i problemi relativi al reato previsto nel secondo comma dell’art. 437 c.p. siano autonomi e indipendenti e che la prescrizione non sia maturata. E ciò sia nel caso si ritenga che si debba far partire il calcolo della prescrizione dalla verificazione dell’evento, sia che al contrario si pensi che la prescrizione parta dal momento in cui è stato commesso l’atto criminale. La questione, a giudizio di questo Tribunale, non è posta in termini corretti e, anzi, poichè la verificazione delle aggravanti (previste dal comma 2 che prevedono il reale avvenimento dell’incidente o del disastro) non può essere ignorata ai fini della consumazione del reato di cui al primo comma dell’art. 158 c.p.., per arrivare a una conclusione riguardo al caso di cui al secondo comma dell’art. 437 c.p. si deve considerare ogni caso singolo relativo al reato di cui al comma 1, e quindi per quanto riguarda il calcolo del termine della prescrizione, ciò dovrebbe comportare un effetto persino sfavorevole alla posizione degli imputati.”
Si legge inoltre: “questo Tribunale ritiene che il secondo comma dell’articolo 437 c.p. descriva autonome figure di reato e, dunque, ai fini del calcolo della prescrizione sarà valutato il tempo necessario a estinguere i vari reati”.
Inoltre dopo aver discusso riguardo esempi di altri processi relativi a sintomi di malattie incurabili o a lunga latenza, ha mostrato un atteggiamento flessibile, interpretando così come segue: “Il caso in esame, in realtà, configura una situazione alquanto atipica, che il legislatore del 1930 difficilmente può essersi rappresentata e, cioè, quella in cui l’evento si verifica molto tempo dopo la commissione della condotta.”
Si dice inoltre: “In alcuni casi saremmo in presenza di una situazione in cui, quando si verifica l’aggravante, il reato sarebbe già prescritto, soprattutto con riguardo ad alcune malattie. Basti pensare, ad esempio, che il mesotelioma pleurico può manifestarsi anche a distanza di parecchi decenni dall’esposizione alle fibre di amianto per rendersi conto che quando la malattia consiste in siffatta patologia, il reato descritto nel primo comma dell’art. 437 c.p. risulterebbe sempre prescritto.”
Continuiamo analizzando l’art. 434 c.p. Questo articolo sembra riguardare le disposizioni relative a danni inferti alla sicurezza pubblica.
Rileggiamo il testo dell’articolo 434 c.p.
“Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene.”
Nelle motivazioni la sentenza riguardo la dicitura “ovvero un altro disastro” dice quanto segue: “Il legislatore, dopo aver disciplinato e punito fatti lesivi della pubblica incolumità, come la strage, l’incendio, l’inondazione, la frana o la valanga, il naufragio, il disastro aviatorio, il disastro ferroviario, nonché gli attentati alla sicurezza dei trasporti, degli impianti di energia elettrica e del gas, ovvero delle pubbliche comunicazioni, ha ritenuto penalmente rilevante anche il pericolo di disastro c.d. innominato”. In poche parole, con “altro disastro” non vi è scritto dettagliatamente nel testo di che tipo di disastro si tratti nè vi è chiara la forma, ma si può interpretare in un ciò che comprenda qualcosa di simile ai disastri suddetti.
Inoltre vi è presentata l’opinione del pubblico ministero: “Il pubblico ministero, prendendo spunto da quanto considerato nella sentenza n.4675 del 2007 della Corte di Cassazione, più che all’evento del reato, si è riferito alla condotta degli imputati, ritenendo che essa perduri tuttora e che, pertanto, il reato non possa ancora considerarsi consumato.”
Oltre a ciò, “Nella più volte citata sentenza del petrolchimico di Porto Marghera, invero, la Corte di Cassazione ha distinto due tipologie di disastro: quello a carattere istantaneo, come ad esempio il crollo di un edificio, e quello in cui esso si sviluppi in un arco di tempo molto prolungato, come quando, ad esempio, un numero indeterminato di persone rimanga esposto negli ambienti di vita e di lavoro a una sostanza cancerogena.” E continuando, “nella seconda categoria di casi, il reato di disastro assume carattere permanente, e, quindi, si consuma sino a che perduri l’evento-disastro. Perciò in questo arco di tempo la prescrizione non decorre. Tuttavia è ovvio che ci debba essere la condizione che l’evento-disastro perduri nel tempo per effetto di una persistente condotta del reo. E poichè in forza dell’art.158, comma 1, c.p. il termine di prescrizione decorre per il reato permanente dal giorno in cui è cessata la permanenza, tale termine non decorre sino a che l’evento-disastro perduri per effetto della condotta del reo.”
A proposito, Porto Marghera, citata per la sentenza del processo di Porto Marghera riportata nella sentenza, è una zona industriale situata nella terraferma davanti a Venezia; è un complesso industriale petrolchimico, in cui ci sono allineate cisterne con riserve di petrolio e raffinerie, ed è una delle cause dell’inquinamento delle acque della laguna veneta e dello sprofondamento del terreno lagunare.
Per finire, il Tribunale di Torino, per quanto riguarda gli articoli 434 e 437 c.p., aveva ritenuto che sebbene fosse terminata la condotta di entrambi i reati, fino a quando non si sarebbe potuto verificarne l’effetto, la prescrizione non sarebbe decorsa.
Avv. Atsumi Reiko
Trad. Diego Lasio